Il Paese è sotto shock. 29 nuovi casi positivi rappresentano un picco mai raggiunto in queste difficilissime settimane. Vedere poi realtà come l’Italia, a cui il nostro Governo si è ispirato in ogni decisione, essere a buon punto e avviarsi, nonostante l’incremento del numero dei tamponi, verso una consolidata discesa dei casi registrati, dovrebbe aiutarci a riflettere su quanto invece da noi non ha funzionato.
Le ragioni non sono certo da ricercare negli appelli allo
stare a casa, appelli a cui la nostra popolazione ha risposto di certo in modo
eguale, se non superiore, a quelli lanciati in Italia.
I problemi vanno ricercati nelle difficoltà di reperimento dei dispositivi di protezione individuale e dei prodotti per le analisi e, soprattutto, nella mancanza di un’indagine epidemiologica capace di selezionare con precisione e con rapidità i contagiati, isolarli anche nel caso degli asintomatici.
Il fatto che proprio i più gravi focolai si siano prodotti all’interno di strutture sanitarie significa che qualcosa non funziona nell’identificazione delle cause della diffusione della epidemia.
La sensazione che stiamo provando è quella dell’assenza di un piano organico, nonostante l’impegno, il cuore e la dedizione dei singoli operatori che si stanno battendo in trincea e a cui va la nostra piena e totale riconoscenza e gratitudine.
Stiamo chiedendo da
tempo che si costituisca una task force dedicata espressamente all’indagine
epidemiologica che in stretto rapporto con il laboratorio analisi e alla
necessità di estendere i tamponi almeno alle fasce più a rischio, impedisca il
contagio all’interno delle famiglie e dei luoghi di lavoro.
Altri Paesi hanno adottato queste tecniche ottenendo risultati eccellenti, piuttosto che seguire le indicazioni dell’Oms che è arrivato in ritardo su tante risposte da dare: prima non si potevano chiudere tutte le attività, poi non si dovevano usare le mascherine, poi non si dovevano fare i test.
Chiudere tutte le attività non indispensabili e avviare una
campagna di screening a tappeto ha fatto invece uscire in meno di dieci giorni
comuni a forte rischio, come Vo e Codogno, dalla crisi portandoli rapidamente
verso la meta dei casi zero giornalieri.
Questo non solo ha tranquillizzato la popolazione, ha
ridotto enormemente il numero dei malati e dei decessi, ma consente a questi
Paesi di ripartire per primi.
Perché a San Marino non possiamo fare altrettanto? Perché il Governo rifiuta qualsiasi aiuto e si è chiuso in se stesso? Se non vuole confrontarsi sulle decisioni economiche che, non venendo prese, stanno mettendo in ginocchio le imprese, almeno che si confronti sulle decisioni che riguardano la salute di tutti.
Libera
San Marino, 8 aprile 2020